giovedì 30 giugno 2016

MA ALLORA, DICO (rubrica)

Ma allora, dico, com'è che tua moglie ti ha mollato?
"Ci siamo separati di comune accordo" biascica Marc entrando al Bus. Poi aggiunge:
"Ho sposato Anne perché era un angelo, e per la stessa ragione ho divorziato. Ho creduto di cercare l'amore fino al giorno in cui ho capito che quello che volevo era evitarlo".
Passato l'angelo, cambia argomento.
"Merda," grida, "è pieno di belle ragazze qui, dovevo lavarmi i denti prima di uscire. Ops! Signorina, lei è un amore. Potrei spogliarla, per favore?".

È fatto così, Marc Marronier, si fa passare per uno stronzo nel suo vestito in velluto liscio perché si vergogna di essere dolce. Ha appena compiuto trent'anni: l'età bastarda in cui si è troppo vecchi per essere giovani e troppo giovani per essere vecchi. Fa di tutto per mantenersi all'altezza della propria reputazione, per non deludere nessuno. A forza di voler ispessire il suo press-book, è diventato, a poco a poco, una caricatura di se stesso. È una fatica riuscire a dimostrarsi gentile e profondo facendo sempre la parte del duro menefreghista. Adotta un comportamento incoerente, se non desolante. È dunque colpa sua se, quando grida sulla pista da ballo: "Yuppi! Ho divorziato!", nessuno viene a consolarlo. Solo i raggi laser trafiggono il suo cuore come spade.





Ben presto mettere un piede davanti all'altro diventa un'operazione complicata. Risale barcollando sullo scooter. La notte è gelida. Via a manetta. Marc sente le lacrime colargli sulle guance. È sicuramente il vento. Le palpebre restano di marmo. Non porta il casco. La Dolce Vita? Ma quale? Dove sta la Dolce Vita? Troppi ricordi, troppe cose da dimenticare, è un'impresa cancellare tutto, e per sostituirli bisognerà rivivere almeno altrettanti bei momenti.



Tratto da: L'amore dura tre anni (di F. Beigbeder)


(dalla rubrica: Il giusto degli altri)

mercoledì 22 giugno 2016

PERDO TEMPO CON TE CHE NON CONOSCI I RADIOHEAD

Perdo tempo con te che non conosci i Radiohead.
E non sai quanto mi fa scuotere la testa sapere che sei così talmente testadicazzo da non aver capito nulla di lei, e di me, e di voi e di quel poco/molto ormai che è rimasto tra me e lei.
Per cui: mettitelo in testa e passiamo oltre, che conviene a entrambi.
Ma poi cosa ti parlo a fare, che manco ascolti i Radiohead! 
Cazzonesai di 
Jigsaw falling into place, 
Reckoner, 
oppure di Talk show host e 
All I need, 
o  di Street spirit e 
Paranoid android?!
Tu che ascolti quella robetta da moccioso anziano.



Come faccio ad avere tutto così chiaro?
Perché sono sulla tua stessa barca, e sto facendo una fatica immensa a capire come fare a difendermi da uno come me. Che però in questo caso non sono io.
Sai, non sono certo meglio di te; probabilmente meno insicuro e più interessante. Dai, concedimelo. 
Ma io non le direi mai di non uscire con uno come me. 
Mai.
Forse è anche per questo che perdo.
Ma è anche perché sono testadicazzo come te, a volte.
E questa è proprio una di quelle volte.
Però almeno io conosco i Radiohead, mica la tua robetta da anziano moccioso.


L. Lama

venerdì 17 giugno 2016

CITAZIONE 059 (rubrica)





Ho le tasche vuote come le persone,

ho le tasche piene ed ho come l'impressione che

lei ancora mi vuole ma, siamo luna e sole,

la mia musica vola ma se la spegni muore.

La mia penna dipinge con un solo colore

e di nero si tinge ogni storia che muore.

Siamo morti io e te, ti ricordi o no?

Sei più forte di me, o forse no.

Non scordarti di me, siamo morti insieme,

io ho qualcosa di te, tu hai qualcosa di me che m'appartiene,

questo mondo lo so, non c'ha voluto bene,

non scordarti però che anche se non ci sto.


Ricordati di me, siamo morti insieme,

io ho qualcosa di te, tu hai qualcosa di me che m'appartiene,

questo mondo lo so non c'ha voluto bene,

non scordarti però che anche se non ci sto, siamo morti insieme.


Pioggia nelle pupille e liquore nel frigo,

puoi trovartene mille con il cuore nel frigo,

e alle volte per essere buoni non basta neanche essere forti,

come noi che per essere buoni, dobbiamo essere morti.

Non scordarti di me, siamo morti insieme,

io ho qualcosa di te, tu hai qualcosa di me che m'appartiene,

questo mondo lo so, non c'ha voluto bene,

non scordarti però che anche se non ci sto.


Ricordati di me, siamo morti insieme,

io ho qualcosa di te, tu hai qualcosa di me che m'appartiene,

questo mondo lo so non c'ha voluto bene,

non scordarti però che anche se non ci sto, siamo morti insieme.


Non importa io dove sarò, né tu dove sarai,

i miei angoli bui non finiscono mai,

i tuoi angoli bui li conosco lo sai,

ti dimenticherò, mi dimenticherai.

Ricordati di me, siamo morti insieme,

io ho qualcosa di te, tu hai qualcosa di me che m'appartiene,

questo mondo lo so non c'ha voluto bene,

non scordarti però che anche se non ci sto.

Ricordati di me, siamo morti insieme,

io ho qualcosa di te, tu hai qualcosa di me che m'appartiene,

questo mondo lo so non c'ha voluto bene,

non scordarti però che anche se non ci sto, siamo morti insieme.


Cantante: Coez

(dalla rubrica: Citarsi è un po' deprimersi)

mercoledì 8 giugno 2016

CHISSÀ POI PER QUANTO TEMPO... (3 di 3)



Chissà poi per quanto tempo aspetterai altre colonne sonori.
Chissà poi se ti senti meglio dopo aver parlato e aver fatto capire il tuo inossidabile punto di vista. 
Chissà cosa te ne farai della ragione che ti dà la cricca di amici e amiche.
Chissà poi dove infili tutte quelle emozioni, dove le accantoni; chissà se c'è spazio anche per me in quella tasca.
Chissà se alzerai ancora la voce durante una discussione, o se andrai via da casa in silenzio.
Chissà se ripeterai ancora e ancora di aver perso, come se tutto fosse una partita; che tra l'altro proprio non è.
Chissà se ragionerei ancora a stagioni.
Chissà se ti aspetterai sempre qualcosa da lei, che magari non arriverà; e se proverai dispiacere, oppure se il malumore scivolerà a lato - senza densità.
Chissà quando la smetterai di dire "La smetto".
Chissà poi cosa te ne fai di tutti quei ritorni.
Chissà se diminuiranno le birre settimanali, e il fumo.
Chissà se la fragilità è poi davvero un pregio.
Chissà se starò meglio senza sbalzi d'umore, o se li cercherò come se fossi in astinenza.

Chissà tutti questi stralci in quali scatole verranno sistemati. 
E con quale cura. 
E se poi verranno buttati, omessi e messi sotto al letto. 
E magari anche dimenticati, come parte di un percorso giunto all'ultima tappa.
Oppure no.


venerdì 3 giugno 2016

IL MATTINO DOPO (rubrica)



Il mattino dopo mi sono alzato in uno stato incredibile di elettricità, dopo una notte passata a girarmi e rigirarmi nel letto con la testa piena di immagini di Misia che mi arrivavano a scatti: lei a dieci metri dai suoi amici nella cantina, lei a pochi centimetri nella mia macchina, lei che scompariva dentro il suo portone, lei che parlava, lei che sorrideva.
Mi sono lavato la faccia con acqua fredda, rasato molto prima del solito, vestito con tutta l'attenzione che mi veniva, eppure non riuscivo a smettere di pensare a lei. 
Era una specie di interferenza sistematica: il suo modo di girare la testa inclinandola un poco, la piega delle sue labbra mentre parlava, i suoi occhi chiari visti da vicino; il suono della sua voce, la naturalezza lunare nel suo modo di fare, l'aura della sua persona, la tensione intelligente e ostinata del suo profilo. 
Mi sentivo come uno che si vede trasformare il paesaggio intorno da un secondo all'altro: nuove specie di animali e fiori e piante ovunque giri lo sguardo, nuovi profumi nell'aria, nuovi venti e nuove temperature, possibilità inesplorate ai suoi movimenti.
Ma ci ho messo due ore prima di telefonarle, perché avevo paura che fosse troppo presto e non volevo sembrarle incalzante o importuno: andavo fino al telefono e mettevo la mano sulla cornetta, pensavo a una frase da dirle e subito mi sembrava inutile, finta, infantile, non-spiritosa.

Non ha risposto la voce di Misia: una voce di uomo ha detto "Sì?".
Ma prima di realizzarlo io avevo già detto "CiaosonoLiviotiricordiierisera?", una frase così preparata e ripreparata e compressa da venire fuori in un istante per conto suo, nel modo meno distinguibile al mondo.


tratto da: Di noi tre (A. De Carlo)

(dalla rubrica: Il giusto degli altri)