lunedì 28 maggio 2012

COME NOI, CHE ORA SIAMO DUE IO



Come noi, che ora siamo due io. 
E poi altri voi, essi, quella e quello che proprio non te ne capaciti di come siano riusciti ad arrivare così vicini a te, e a te. Insomma, ci vuole una certa struttura - per non dire incoscienza - a verbalizzare il contorno e la cornice delle cose. Le chiamo 'cose' giusto per non essere troppo sciropposo. 
Che poi mi viene in mente quando ti amavo e non te l'ho mai detto. Che poi ripenso a quando ho smesso di amarti e sussurravo "Quanto t'amo." 
E oggi c'è da condividere uno zaino zeppo di ricordi.
Io questi ricordi li chiamo cianfrusaglie, perché sembrano come modellini impolverati che però buttarli dispiace, tutto sommato rievocano croci e delizie. Insomma, rievocano attimi che sarebbero da revocare. Per cui uno spazio si trova, un angolo c'è sempre. Lo stesso angolino da anni, decenni pronti per diventare grandi e farsi ventenni.
Lo zaino è sempre lì, dove lo abbiamo lasciato, immobile e ingannevolmente distaccato; come noi, che ora siamo due io. 
E poi altri voi...
Davvero, non per sembrare scorretto, però non me ne capacito per nulla, e tu? 
Già, immaginavo.




Luca L.

giovedì 24 maggio 2012

ESSERE UN PESCE FUOR D'ACQUA...



Essere un pesce fuor d'acqua. Questo ho pensato e questo penso quando mi ritrovo - fortunatamente spesso e volentieri - a fare due ciance con un mio amico. L'amico lo chiamerò: Pesce (fuor d'acqua). Essere un pesce fuor d'acqua non è uno stile di vita, un ideale, uno status symbol, una presa di coscienza, un modo di essere. Non è nemmeno un qualcosa che si decide di essere o di diventare. Tu che vivi sulla terra non puoi capire, senza offesa, ma proprio per te è incomprensibile. Pesci fuor d'acqua si nasce, e si impara a convivere con se stessi; se credi di farne parte dovresti intravedere una boccia di vetro alle tue spalle, ecco, se la vedi e non riesci (soprattutto non puoi) ad afferrarla è tutto a posto. Il pesce fuor d'acqua non vive, sopravvive, anche se apparentemente sembra stare bene. Il fatto di apparire come una persona che diffonde benessere è un'aggravante non di poco conto. In realtà soffre, si dimena in reti non visibili all'occhio umano e forse nemmeno a quello meticoloso dei più arguti esseri viventi (falco compreso).
Il mio amico Pesce non fa distinzioni riguardo acque dolci o salate, non è questo il problema, magari fosse questo il problema, pagherebbe fior di quattrini per far in modo che sia questo il problema. E' avvolto dall'immateriale, per cui: la quotidianità, gli stessi problemi, i sentimenti e le azioni ben poco hanno da spartire con le cose materiali, già, perché il Pesce (fuor d'acqua) vive galleggiando, per l'appunto. Il fatto è che non galleggia in mare, nel lago o fiume che sia. E' però capace di volare, se vuole, e di far volare gli altri che gli stanno intorno; però devi essergli amico, amico per davvero, mica così per riempire il tempo mentre aspetti il tram o l'appuntamento successivo. Non illuderti, il mio amico Pesce se ne accorge se stai bluffando, tranquillo, non è vendicativo, a meno che non appartenga al segno zodiacale dello scorpione.
Ma poi parliamoci chiaro, così vuoi capire tu, tu che non sei un pesce fuor d'acqua... cosa ne sai di essere sempre in minoranza rispetto a quello che ti circonda, e di essere l'unico quando ti approcci con la minoranza. Beato te, e stanne fuori credimi; che essere un pesce fuor d'acqua è come essere estremamente bello o estremamente brutto. Ci nasci. E puoi riconoscere un Pesce (fuor d'acqua) da un particolare: hanno occhi grandi e bellissimi e, proprio come i pesciolini, sembrano privi di palpebre.
Capisci cosa sto dicendo? Sì?! Urca! Mi spiace, ehm no, son contento, no... insomma. Okay, fantastico! Siamo meno soli, questo mi consola. Ci vediamo domani, al solito posto, appena fuori dall'acqua e mai troppo coi piedi per terra. Se non ci vediamo? Sai che ci sono, che esisto, e questo dovrebbe rallegrarti. Uh. Come è piacevole vederti sorridere.

Luca L.


sabato 19 maggio 2012

LEGGI IL TERZO FRAMMENTO

“Ora c’è lei. Però se ai tempi io e te ci fossimo messi insieme, ora sarebbe tutto diverso, almeno credo”.
“Mi stai prendendo per il culo, giusto?”
“Non hai mai provato interesse per me, vero?”
“Questo è un incubo!”
“Pensa a me… cioè, in tu...tti questi anni mi sono tenuto questo groppo in gola, e ora…”
“Ma tu sei completamente fuori di testa! Cosa vuoi che ti dica?”
“Se avessi incontrato prima me di Gianpaolo, le cose sarebbero andate diversamente?”
“Luca, ti sembra il momento adatto per venirtene fuori così? Dopo anni che ci conosciamo”.
“Perché no?”
“Non so cosa dire, sono esterrefatta”.
Si mette le mani tra i capelli, comincia ad ansimare e sudare freddo.
“Va bene, allora… io vado. Una risposta credo di averla avuta”.
“Ascoltami…”
“Dimmi”, la voce del cagnolino bastonato e abbandonato sotto la pioggia, magari potevo evitarla.
“Forse, anzi, sicuramente sei scosso, hai appena perso un altro posto di lavoro e… voglio sperare sia tutto un equivoco”.
“Ti piacerebbe, ma…”
“Dio mio Luca per favore! Non peggiorare le cose!”
“Angelina, non mi aspetto nulla da te… so che stai con Gianpaolo e tra voi va tutto alla grande. Però volevo togliermi questo peso, tutto qui”.
“Ti pare poco? Eh no caro mio, non puoi pretendere di alleggerirti in questo modo e poi non subire una reazione da parte mia. Sono sconvolta, permettimelo!”. Tra poco sviene.

da AL PUNTO CHE DISTURBI, il romanzo da vertigine.
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mercoledì 16 maggio 2012

QUELLO CHE NON CAPISCO È IL TUO SENSO DI DISCOLPA...



Quello che non capisco è il tuo senso di discolpa. Intendo invece molto bene la serpentina di parole che pronunci per giustificarti. Passano veloci i minuti quando gesticolando ti animi tenendo il tono di voce impostato come un telecronista in erba. Ascolto e penso che è un peccato. Un peccato per te, mica per me che sto dall'altra parte del tuo monologo manco fossi uno specchio appannato dai tuoi sospiri. Mi viene da sorridere, perché ti sento mentre cerchi di anticipare la mia reazione, ti sento buttare verbi e avverbi verso di me; tutto però cade a lato a questo giro, e non ho la minima intenzione di raccogliere vocali e aggettivi. E allora via ad una serie di frasi e concetti e ripetizioni e pause e sbuffi e tutto quello che fa da cornice a un discorso che sembra ragionato ma che invece rimbomba coma una palla dentro una sala vuota senza finestra e appena imbiancata.
 

"Mi dispiace, scusa".
Questo bastava, e avanzava. Dici che allora anche io... appena fatto, con queste righe. Sono io quello con cui parlo. Non ne sei sicuro? Sei confuso? Bene, vuol dire che tocca a te, solo a te, per questa volta.

Dimenticavo: non mischiare la plastica con la carta altrimenti la prossima volta ti danno la multa. No, scherzavo. Non mischiare la plastica con la carta altrimenti la raccolta differenziata non serva a nulla, e poi non si fa, cacchio. Non è la multa il centro del discorso. Da domani nessun senso di discolpa, ok? Già bastano i nostri sensi di colpa a inchiodarci.

Luca. L.

venerdì 11 maggio 2012

LA PRIMA VOLTA CHE HO VISTO IL MIO QUASI COETANEO...

La prima volta che ho visto il mio quasi coetaneo Joel avevo ancora i capelli lunghi, eravamo entrambi studenti nello stesso Istituto. Un amico in comune ci ha presentato e, visto che eravamo in sezioni diverse, c'era solo l'intervallo per fare due chiacchiere di questo e quell'altro argomento. Joel per la mia memoria ha sempre avuto la testa rasata, fin dai tempi delle Scuole Superiori. La capigliatura non era la nostra unica differenza fisica, anzi, se ci mettevate di fronte, c'era da sudare inutilmente per trovare un punto in comune. A proposito, ci tengo a sottolineare: Scuola Superiore. Ci tengo perché nei libri che leggo e nei film che guardo sembra ci sia un unico e intero mondo popolato solo da liceali; come se nelle altre innumerevoli strutture scolastiche non esistessero presidi, insegnanti, bidelli, segretarie e studenti con buone prospettive per il futuro. Liceo classico, scientifico, artistico, musicale, scienza umane o linguistico poco importa. Ebbene, questa volta no. Sorpresa. Questa è l'inizio di una biografia dedicata a una persona che frequentava una banalissima Scuola Superiore senza titoli che però ha come sottotitolo: Istituto Professionale per i Servizi Commerciali e Turistici. Che poi, anche se i tuoi genitori fanno di te un sancarlino, le chiappette le appoggi come tutti su una sedia che scricchiola e le manine sul banco che traballa. Ah no? Non traballa e non scricchiola? Okay, davvero interessante. Comunque, torniamo alle cose importanti: Joel. Il momento di maggior legame tra noi è arrivato durante gli ultimi due anni, quando l'irrefrenabile voglia di migliorare il mondo diventava sempre più impellente. Il risultato fu la nascita di una lista studentesca, insieme c'era l'immancabile suo caro amico che ci aveva presentati e un'altra ragazza. Che quartetto ragazzi! Dovete credermi. Eravamo belli, anzi, fighi. Sì be' poi ci sarebbe anche da raccontare le elezioni vinte, la nomina a rappresentanti di Istituto (di punto in bianco amico di tutti), l'autogestione (oggi mi sarebbe toccato il compito in classe di geografia), le manifestazioni (guarda quella ragazza quanto è carina)… insomma, tutte cose di poco conto paragonate al fascino della nostra adolescenza, ai momenti trascorsi assieme. Perfino migliorare il mondo e pensare di cambiarlo non era più così importante in rapporto all'incanto e all'incoscienza della nostra tenera età. Così capita che il giorno del diploma viene vissuto come una giusta ricompensa più che un traguardo raggiunto. Poi arrivano gli anni dei lavori, dei viaggi di lavoro, di tempi liberi che diventano sempre meno liberi. Negli anni a seguire non l'ho visto tanto spesso Joel, c'era però il suo inseparabile amico che mi dava notizie e, per la maggior parte erano racconti incredibili, facevano ridere. Giuro, perché Joel è sempre stato un po' super, con quel suo fisico massiccio che ti viene voglia di chiamarlo per primo se devi traslocare. Per questo i parecchi eccessi di Joel - sotto una luce accesa per sbaglio - possono sembrare esuberanze dettate da tanti di quei sentimenti sommersi che solo lui può conoscere. A me ora resta solo il compito di concludere l'inizio della sua biografia, perché l'inizio è più bello della fine, perché Joel era molto di più di quello che ho scritto, perché mi sono davvero stancato di scrivere di lui al passato. E purtroppo oggi non è possibile fare altrimenti, perché oggi è giunta la notizia, perché il suo inseparabile amico mi ha chiamato e, stasera ci vedremo, e ricorderemo il nostro amico che ci ha salutati troppo presto.


"Buonasera, due birre grazie. A Jo."





martedì 8 maggio 2012

CARA, ORA CAPISCO COSA INTENDI...




Cara, ora capisco cosa intendi quando dici "Non dormo quasi mai". Davvero, oggi mi è chiaro. Il quasi poi è uno slancio di ottimismo senza precedenti. E non è per un motivo in particolare, ti credo, è perché nel buio non è difficile intravedere ogni cosa come un gomitolo di lana. La descrizione è più o meno questa:  dalla tapparella ben serrata filtrano alcuni pensieri, quei pensieri, quelli che li scacci per tutta la giornata e ti ritornano indietro con tanto di rincorsa mentre ti credi addormentato. Tutto chiaro. Comprensibile. E poi al risveglio non li sai raccontare, cara mia; in parte vorresti, ma chi te lo fa fare, e poi perché? Cosa cambierebbe? Sarebbe come consegnarli in prestito, quei pensieri, e non ne ho voglia, perché non fanno parte dei convenevoli. Soprattutto non li puoi saldare né scontare, quindi, sai cosa ti dico, domani mattina prendo il tram, vado al lavoro e discuto di calcio, sai quest’anno l’Inter… Faccio una battuta, aspetto la tua risata. Ecco, meglio. Forse.

Luca L.




venerdì 4 maggio 2012

LEGGI UN ALTRO FRAMMENTO

“Sei pronto?”
“Insomma”.
“Stai tranquillo. Da quanto ne so, a meno che non saluti insultando il mio capo, questo posto è tuo”.
“Be’, allora dovrò mettercela tutta”.
“Ecco, bravo”.
“Ma se non gli andassi a genio?”
“Non credo. Si fida molto dei miei consigli, e io gli ho consigliato te”.
“Lo sai, sono un campione nel buttare tutto all’aria”. 
“Non preoccuparti. È impaziente di conoscerti”.
“Come mai?”
“È da ieri che parlo di te a Walter”, e indica una porta chiusa.
“Walter sarebbe…”
“Il responsabile”.
“Ok. Quanti anni ha?”
“Cinquantatre”.
“Avrei preferito qualcuno in meno”.
“Per quale motivo?”
“Quasi certamente vorrebbe un collega più vicino alla sua età, della stessa generazione. Ho un vago ricordo di Cyndi Lauper, magari è la sua cantante preferita”.
“Lui sta cercando un collega, non uno con cui passare le serate e condividere buona musica. Poi l’età non conta nulla”.
“Vero, però…” 
“Come sei teso Luca, raccontami qualcosa, così ti rilassi un pochino”.
“Ho fatto la barba”.
“Per fortuna! Sembravi un barbone fino all’altro ieri”.
“Già”.
Non so cosa dire, sono imbarazzato e non so il perché, Angelina è una delle due persone che posso dire di conoscere. Vederla sul posto di lavoro però cambia le carte in tavola, decontestualizza il nostro legame rendendolo meno intimo e più laborioso. Al mio crescente disagio, lei risponde con un paio di fazzoletti per asciugarmi i capelli.
“Quanti altri hanno fatto il colloquio qui?”
“Nessuno, tu sei il primo. Se non andrai bene inizierà a cercarne un altro, ma solo dopo averti esaminato”.
“Mi sento un po’ raccomandato”.
“Funziona così”.
L’ufficio immobiliare odora di cartuccia per stampante, avete presente il profumo di inchiostro appena stampato su carta? Quello, a me inebria.
“Com’è la paga?”
“Se l’alternativa è niente, non puoi lamentarti… 



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giovedì 3 maggio 2012

LEGGI UN FRAMMENTO

... Sono troppo lezioso? “Può essere”, dico io. “Certo!” direbbe Gianpaolo. 
Probabilmente un islandese venderebbe l’anima al diavolo pur di scambiare - per almeno un mese - il clima invernale con un italiano. Tuttavia questa metropoli ne avrebbe bisogno, è da anni che non scendono fiocchi bianchi; per questo i miei concittadini costruiscono sempre meno pupazzi e sempre più bombe fai da te. 
Vagherei per ore questa notte senza destinazione, come si vede in molti film: l’attore principale che, dopo una delusione d’amore girovaga tra le vie malfamate in mezzo a barboni, magnaccia, puttane, ladri, spacciatori e assassini occasionali; lo farei anch’io oggi, lo giuro, mi sposterei verso la periferia a conoscere il mondo notturno, solo che proprio stasera ho messo nel portafoglio venti euro in più, e poi sapete come vanno queste cose… per rifare la carta d’identità mi toccherebbe perdere mezza giornata in fila agli sportelli comunali! Meglio continuare per le strade di sempre, almeno se qualcuno mi scippa so dove andare, basta entrare nell’officina di Johnny il Rancido e qualcosa di personale si trova sempre. Pensate, l’ultima volta che sono andato da Johnny è stato per chiedergli se per caso, per puro caso, qualcuno dei suoi scagnozzi gli avesse portato il mio Garelli appena assicurato… ebbene, ricordo ancora che sono tornato a casa con la mia vecchia BMX, rubata un anno prima. 


mercoledì 2 maggio 2012