mercoledì 28 marzo 2018

LA CITTÀ IN SE STESSA (rubrica)

La città in se stessa, bisogna riconoscerlo, è brutta.  
Di aspetto tranquillo, occorre qualche tempo per accorgersi di quello che la fa diversa da tante altre città mercantili, sotto tutte le latitudini. 
Come immaginare, a esempio, una città senza piccioni, senza alberi e senza giardini, dove non si trovano né battiti d’ali né fruscii di foglie, un luogo neutro, insomma? 
Il mutamento delle stagioni non vi si legge che nel cielo. La primavera si annuncia soltanto con la qualità dell’aria o coi cesti di fiori che i ragazzetti portano dai sobborghi; è una primavera che si vende nei mercati. 
Durante l’estate il sole incendia le case troppo asciutte e copre i muri d’una cenere grigia; non si può vivere, allora, che nell'ombra delle persiane chiuse. In autunno, invece, è un diluvio di fango. Le belle giornate vengono soltanto d’inverno. 
Una maniera facile per far la conoscenza d’una città è quella di cercare come vi si lavora, come vi si ama e come vi si muore. 




Nella nostra piccola città, forse per effetto del clima, tutto questo si fa insieme, con la stess’aria frenetica e assente: ossia, ci si annoia e ci si applica a contrarre delle abitudini.


tratto da: La peste (di Albert Camus)

(dalla rubrica: Il giusto degli altri)

mercoledì 21 marzo 2018

VELOCITÀ DIVERSE

Velocità diverse.



Il fatto è che noi andiamo a due velocità diverse.
Da un po' di tempo sto ragionando di settimana in settimana, come la modalità di pagamento dello stipendio a Londra.
Là ti pagano a settimana -e non alla fine del mese. Di settimana in settimana. Me l'ha detto una mia amica che vive là. Riporto senza una personale conoscenza in materia.
Dicevo...

Ecco, noi alla fine non siamo mai stati sicuri di arrivare alla fine del mese; siamo una coppia che avrebbe dovuto trasferirsi a Londra e, per dirla tutta, non mi dispiacerebbe affatto. 
Io ci sono stato a Londra, parecchi anni fa.
E devo dire che ci sono stato molto bene, in ottima compagnia. Ero innamorato e tutto il resto dei pensieri di uno innamorato. Comunque, quella è un'altra storia.
Ma andiamo oltre, cambiamo storia e riprendiamo il filo del discorso odierno.
Dicevo...

In breve, sai cosa mi allieta? Questo: adesso è tutto logico.
Davvero splendida questa logicità, è come una dolce buonanotte.
Però, adesso, se permetti vado a ubriacarmi.
Non tanto, un pochino, giusto per arrivare a quel momento dove i pensieri si offuscano e il sonno bussa alle porte.
E se te lo stai chiedendo...
"Sì, sono nel pieno del mio sarcasmo".
Tiè!


Luca L.

mercoledì 14 marzo 2018

CITAZIONE 091 (rubrica)



Ricordi quei muri che ho costruito?
Beh piccolo, stanno crollando
e non hanno nemmeno fatto una lotta,
non hanno neanche fatto un suono.
Ho trovato un modo per farti entrare
ma non ho mai avuto realmente un dubbio,
in piedi nella luce della tua aurea.
Ho il mio angelo ora
è come se fossi stata svegliata,
ogni regola che avevo tu l'hai infranta,
è il rischio che mi sto prendendo,
non ti ho mai lasciato fuori.

Ovunque guardi ora,
sono circondata dal tuo abbraccio,
tesoro, posso vedere la tua aurea,
sai di essere la mia grazia di salvezza,
sei tutto quello di cui ho bisogno e più,
è scritto su tutta la tua faccia,
tesoro posso sentire il tuo anello,
prega che non se ne vada, posso sentire il tuo anello.

Posso vedere la tua aurea,
posso sentire la tua aurea,
posso vedere il tuo anello.

Colpiscimi come un raggio di sole,
bruciando attraverso la mia notte più oscura,
tu sei l'unico che voglio,
penso di essere dipendente dalla tua luce,
giurai che non sarei caduta di nuovo
ma questa non sembra neanche la sensazione del cadere,
la gravità non può dimenticare
di riportarmi a terra di nuovo.
Mi sento come se fossi stata svegliata,
ogni regola che avevo tu l'hai infranta,
il rischio che mi sto prendendo,
non ti chiuderò mai fuori,
ovunque guardi ora,
sono circondata dal tuo abbraccio,
tesoro posso sentire il tuo anello.
Sai di essere la mia grazia di salvezza,
sei tutto quello di cui ho bisogno e più,
è scritto su tutta la tua faccia,
tesoro posso sentire il tuo anello,
prego che non svanisca.

Posso sentire la tua aurea,
posso vedere la tua aurea,
posso sentire la tua aurea,
posso vedere il tuo anello.

Posso sentire la tua aurea,
posso vedere la tua aurea,
posso sentire la tua aurea,
posso vedere il tuo anello.
Aurea,
aurea.

Ovunque guardi ora,
sono circondata dal tuo abbraccio,
tesoro, posso vedere la tua aurea.
Sai di essere la mia grazia di salvezza,
sei tutto quello di cui ho bisogno e più,
è scritto su tutta la tua faccia,
tesoro posso sentire il tuo anello,
prega che non se ne vada, posso sentire il tuo anello.

Posso vedere la tua aurea,
posso sentire la tua aurea,
posso vedere il tuo anello.


cantante: Lotte Kestner (originale: Beyonce)


(dalla rubrica: Citarsi è un po' deprimersi)

martedì 6 marzo 2018

SI AVVICINÒ ALLA SPONDA DEL FIUME (rubrica)

Si avvicinò alla sponda del fiume e sentì che Michela doveva essere vicina. 
L’acqua le piaceva. Mamma raccontava sempre che, quando da piccoli faceva il bagno a tutti e due insieme, Michi strillava come una pazza perché non voleva uscire, anche dopo che l’acqua era diventata fredda. 
Una domenica papà li aveva portati sulla riva, proprio lì forse, e gli aveva insegnato a lanciare i sassi piatti per farli rimbalzare sulla superficie. 
Mentre gli spiegava che doveva sfruttare meglio il polso, che era quello a dare la rotazione, Michela si era sporta in avanti e aveva fatto in tempo a scivolare in acqua fino alla vita, prima che papà l’acchiappasse per un braccio. Le aveva mollato uno schiaffo e lei si era messa a frignare e poi erano tornati tutti e tre a casa, in silenzio e con i musi lunghi. 



L’immagine di Michela che con un ramoscello giocava a scomporre il proprio riflesso nell'acqua e poi ci scivolava dentro come un sacco di patate attraversò la testa di Mattia con la violenza di una scarica elettrica.
Si sedette a mezzo metro dalla riva, stanco. 
Si voltò per guardare dietro di sé e vide il buio che sarebbe durato ancora molte ore.
Prese a fissare la superficie nera e lucida del fiume.
Di nuovo cercò di ricordarsene il nome, ma non ci riuscì neppure stavolta. 
Affondò le mani nella terra fredda. Sulla riva l’umidità la rendeva più morbida. Vi trovò un pezzo di bottiglia, il rimasuglio tagliente di qualche festeggiamento notturno. 
Quando se lo conficcò la prima volta nella mano non sentì male, forse non se ne accorse neppure. 
Poi cominciò a rigirarlo nella carne per piantarlo più a fondo, senza staccare gli occhi dall'acqua. 
Aspettava che da un momento all'altro Michela affiorasse dalla superficie e nel frattempo si chiedeva perché certe cose stanno a galla e certe altre invece no.


tratto da: La solitudine dei numeri primi (di Paolo Giordano)

(dalla rubrica: Il giusto degli altri)