venerdì 30 ottobre 2015

CITAZIONE 051 (rubrica)



Tengo il telefono e mi siedo qui,
sto da solo nell'ombra, su questo divano, in cerca di una risposta.
In TV un film di serie B,
e il cucchiaio affonda, nella noia che sale,
come il fumo alla bocca.
In testa un disastro di cose che poi non finisco mai.
No, no, non voglio aspettarti,
già so che non verrai.
No, no.

Il tempo mi passa, più lento del normale,
non ho né la voglia, né un cazzo da fare.
Non lavo la faccia, mi pesa parlare,
non ho né la voglia, né un cazzo da fare.
Potrei stare per sempre così, no, no,
potrei stare per sempre così.

In questi giorni che si inseguono come cani arrabbiati,
mattine seguono notti particolari,
dormiamo ai lati di letti matrimoniali,
gli occhi incollati, gli stati confusionali.
Giorni sbagliati con mattine pacco,
stare in pigiama fino a pausa pranzo,
dentifrici incrostati, nei miei pomeriggi svogliati.
Uscire in tuta? Andare al parco? O mi critichi ogni scelta pacco,
intanto, cibi surgelati, nei miei pomeriggi svogliati.
Nessuno sa se prima o poi funziona,
per questo cerchi un'assicurazione,
nella malinconia dei nostri nomi, scritti in una lavanderia a gettoni.
Siamo soli.

Il tempo mi passa, più lento del normale,
non ho né la voglia, né un cazzo da fare.
Non lavo la faccia, mi pesa parlare,
non ho né la voglia, né un cazzo da fare.
Potrei stare per sempre così, no, no,
potrei stare per sempre così.


cantante: Ghemon

(dalla rubrica: Citarsi è un po' deprimersi) 

lunedì 26 ottobre 2015

DISTANTE UN TIRO DI FUCILE (rubrica)

Distante un tiro di fucile dal fiume che ancora sanguinava, in un posto che si chiamava Bélamas, una nebbia di fatica calò sugli occhi di Tourand, al trentaduesimo sorpasso, e l'automobile scivolò via di lato, come se volesse soltanto andarsene. 
Il bambino gridò, ma senza voce, solo la gola spalancata.
Allora il soldato Dupuy, in licenza, si gettò in mezzo, tra l'automobile e il bambino, giusto per inceppare la linea mortale che il caso stava disegnando e che andava da un mostro a un bambino. 
L'enorme cofano a conchiglia lo sollevò da terra come uno straccio, e prima di ricadere era già morto da eroe.
Deviata dal fantoccio soldato l'automobile si ritrovò in centro alla strada ma come un animale ferito impazzì definitivamente e tagliò di netto verso destra, precipitando cieca tra il pubblico, colpendo a caso.. Poi si seppe che era morto un uomo.
Ma i padri ancora portavano i figli, e le ragazze ridevano nervose muovendosi a gruppi, avanti e indietro, lungo il ciglio della strada. Alle botteghe si restava per ore sulla soglia, a scuotere la testa. E chi veniva a comprare si fermava, e guardava. 
Alcuni scalavano i campanili per vedere dall'alto, perché tutto, quel giorno, sembrava possibile.
Tre milioni di persone, si disse, allineate dalla meraviglia, e ipnotizzate dal miracolo.
Negli uffici di Parigi, a poco a poco, i cablogrammi disegnarono l'immagine di un lungo serpente che scendeva la Francia senza controllo, cieco di furore o di stanchezza, schizzando veleno a caso, esasperato dalla polvere a dal fracasso della gente.
Mentre sul tabellone di Madrid era ancora tutto un febbrile scivolare di cartelli, pulito e silenzioso, da cui nessuno avrebbe potuto evincere qualcosa d'altro che la giusta animazione di una gara e il fiero alternarsi di vicende sportive. 
Le bande provavano sotto il sole musiche d'ottone, e i primi a ballare ritrovavano passi imparati da bambini con cui assurgevano a inaspettata bellezza. Balleranno con noi, i cavalieri impolverati?, cosa dici, balleranno con noi?, ho giusto un fazzoletto che gli vorrei donare, e in serbo un bacio, da tener prezioso.




tratto da: Questa storia (A. Baricco)

(dalla rubrica: Il giusto degli altri)

mercoledì 14 ottobre 2015

BANG

Bang. 
Ovvero: storia di un vaffanculo rimasto in canna.

In fondo non ho mai smesso di colpevolizzarmi.
Da quando te ne sei andata, mi sono talmente colpevolizzato che alla fine adesso quasi ho cominciato a provarci gusto. Più che gusto è un retrogusto, amarognolo; ma che dà sollievo, un po’ come alcune birre.
Ieri sera, poco prima di andare a letto, ho passato in rassegna tutte le mie colpe, tutti i miei “Avrei potuto comportarmi così” – “Avrei fatto meglio a fare quello” – “Forse non avrei dovuto…” e via via così.
Nulla di diverso se non nella dinamica e nei tempi, ma stesso copione.
Ecco. 
Poi inaspettatamente mi è accaduta una cosa incredibile, una cosa che non mi era mai successa prima, ovvero: una presa di coscienza, nuova, innovativa. Cosa? Ho finalmente capito: Ho compreso che non era colpa mia. 
Non. Era. Colpa. Mia.
Non era colpa mia...
 
Sembrerà stupido dirlo adesso, a partita terminata, è che non ci arrivo mai subito; anzi, direi che intendo i fatti sempre e solo in ritardo smisurato.
Non è stata colpa mia.
Non è colpa mia adesso.
Sei tu che ti sei comportata male. Niente di più semplice che questo. Sei tu che sei stata pessima. E che ti sia ben chiaro.
Sia inciso sulla parete di casa tua - appena imbiancata.
Hai rimuginato, hai tenuto ogni cosa in sospeso lasciando conseguentemente me appeso. Hai versato lacrime di sfogo e non di sofferenza, hai barcollato senza prendere mai una benché minima decisione, lasciando a me il compito di dare la bastonata finale; cercando così di preservarti un minimo di dignità sentimentale.
Hai indossato l'abito da preda, ma sei stata carnefice.

Non è stata colpa mia. E chissà quante altre volte dovrò ripetermelo per imparare bene la lezione, se mai la imparerò.
E sai che c’è, che questa storia la dedico a te.
"Quale storia?"
Questa: la storia di un vaffanculo rimasto in canna che adesso ha trovato traiettoria tra queste righe. 
Bang!



Luca L.

venerdì 9 ottobre 2015

CITAZIONE 050 (rubrica)



Dammi una luce infiammabile,
sono freddo come un fiammifero
pronto ad accendersi,
quindi vado.
Qui c’è una città in fiamme,
salpo da solo, la risposta è tranquilla,
ora vado.

Comincia con una scintilla
e brucia fino al buio,
ora vado.
C’è un fiume che ho trovato nelle terre selvagge
sotto il terreno, così ci vado.
Un carico su una cordicella
e ascolto tutto,
ora vado.

Oh dolce accensione, sii il mio fusibile
non hai scelta, devi scegliere,
diamo l’arrivederci a ieri
dì addio, sono per strada ma alla fine tutti arriviamo
prima o poi,
quindi vado.

Oh dolce accensione, sii il mio fusibile
non hai scelta, devi scegliere,
diamo l’arrivederci a ieri
dì addio, sono per strada.
Ho buttato via tutto perché
dovevo essere dove non sono stato mai,
ero così affamato che potevo mentire;
ho preso la mia parola, la tua bugia
e le ho portate all'inferno con le mie mani insanguinate,
queste braccia ameranno una band,
li guarderanno nell'acqua di soldi
a cercare un diamante nell'angolo.
Ma non puoi farmi cambiare il mio nome,
non ce la farai a farmi cambiare il mio nome,
non c’è un’attesa valida per qualcosa.
Tutto ciò viene dal niente.

Sono così dannato,
dal nulla,
sei il mio fusibile.
Sono così dannato,
dal nulla,
sei il mio fusibile.

Va, va.
Non puoi farmi cambiare il mio nome,
non ce la farai a farmi cambiare il mio nome,
non c’è un’attesa valida per qualcosa.
Tutto ciò viene dal niente.

Sono così dannato,
dal nulla.
Sono così dannato,


dal nulla.


gruppo musicale: Foo Fighters

(dalla rubrica: Citarsi è un po' deprimersi)

venerdì 2 ottobre 2015

IL VECCHIO RACCONTÒ... (rubrica)

Il vecchio raccontò come, una settimana prima, fosse stato costretto ad apparire a un cercatore di pietre preziose sotto forma di un sasso. L'uomo aveva abbandonato tutto per andare in cerca di uno smeraldo. 
Per cinque anni aveva lavorato in un fiume e spaccato 999.999 sassi alla ricerca di uno smeraldo. A qual punto aveva pensato di desistere, quando gli mancava un solo sasso - solo uno - per trovare lo smeraldo. 
Ma era un uomo che aveva scommesso sulla propria Leggenda Personale e quindi il vecchio aveva deciso di intervenire. 
Si era trasformato in un sasso che era rotolato sul piede di quell'uomo il quale, con la rabbia e la frustrazione dei cinque anni perduti, con un calcio lo aveva scagliato lontano. 
Ma lo aveva lanciato con tanta forza che il sasso, sbattendo contro un'altra pietra, si era spaccato, mettendo in mostra lo smeraldo più bello del mondo.

"Gli uomini scoprono ben presto la propria ragione di esistere", disse il vecchio con una certa amarezza nello sguardo. "Forse è questo il motivo per cui desistono altrettanto presto. Ma il mondo è così".
A quel punto il ragazzo si rammentò che avevano cominciato parlando del tesoro nascosto.
"I tesori emergono dalla terra grazie ai corsi d'acqua, e da questi stessi flussi sono seppelliti", disse il vecchio. ""Se vuoi sapere qualcosa del tuo tesoro, dovrai cedermi un decimo delle tue pecore".
"E non va bene un decimo del tesoro?"
Il vecchio sembrò deluso.
"Se cominci a promettere quanto ancora non possiedi, finirai per perdere la voglia di ottenerlo".





tratto da: L'Alchimista (Paulo Coelho)

(dalla rubrica: Il giusto degli altri)