mercoledì 27 febbraio 2013

DAVVERO NON TI CHIEDO ALTRO: SPARISCI


Davvero non ti chiedo altro: sparisci.
Ehi, non nel senso che domani non ti trovano più i tuoi genitori, i parenti si allarmano, gli amici piangono e i conoscenti si disperano. E poi interviene la polizia, e il telegiornale parlerà di te, e si penserà a un rapimento di qualche banda di malviventi professionisti o a qualche banda improvvisata e quindi più pericolosa. Oppure a un rapimento degli alieni. Magari il tuo vicino di casa avanzerà l’ipotesi di un tuo volontario allontanamento perché qualche giorno fa gli hai detto in ascensore che ti sentivi un pochino depressa. 
No no, non mi auguro niente di tutto questo, giurin giuretta.
Però: sparisci. Sul serio. Niente scherzi.
Perché non lo fai?! No perché poi diventa ossessione, e mica mi piace. Che poi uno sembra non uscirne più e affiorano tutte quelle paturnie che ti fanno dire a notte inoltrata “Un altro giro, offro io”.
Intendo che un bel giorno... Puf! E non ci sei più.
Ti levi di mezzo dai miei pensieri, e non ci riappari nemmeno per errore, neanche per caso, neppure per fatalità. No. Proprio no. Ti alzi (se sei seduta) e te ne vai senza troppi se e ma. Perché qui non posso passare il tempo a contare i tuoi passi e gesti e mezze frasi, e che forse quella volta pensavi che, e probabilmente quello sguardo sotto sotto nascondeva che.
No. Enne. O.
Chiaro? Capisci? Intendi?
E poi, chiariamoci, non vale fare comparsate mentre sogno, smettiamola subito. Regola n° 2: è severamente vietato apparire nei sogni dell’altro.
Sia nei sogni che finiscono bene e quindi poi uno si sveglia già afflitto; sia nei sogni che finiscono male e quindi poi uno si sveglia già addolorato. Per non parlare dei sogni che non finiscono e quindi uno si sveglia già echecazzo.
No. Enne. O.
Comprendi? Afferri? Recepisci?
Ma tu no. Ti ostini a lasciare l’impronta, la traccia, la scia; perfino a tua insaputa.
Facciamo che da oggi (vale anche domani, poi basta però) è come se non ci fossi più nei miei giorni. Come se vivessimo su due universi paralleli. Ecco. Ci provo. Questa volta vale per tutte. E’ l’ultima dell’ultimissima.
Sparisci. Sparisci. Sparisci.
Chiudo gli occhi. Incrocio le dita.
Dai che forse stavolta…


“Amico Luca, allora come stai?”
“Cazzo ma sai che oggi mentre pulivo casa ho trovato…”
“Ma non avete fatto la classica giornata di scambio? Quella giornata dove ognuno si riprende le proprie cose e poi si toglie dalle palle senza guardare indietro”.
“Sì, eppure stamattina ho trovato…”
“Che roba”.
“Secondo me ogni volta che mi compare in sogno, lascia un oggetto nel mio cassetto. Quello di fianco al letto”.
“Può essere”.
“Te l’avevo detto che non era umana!”
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“Luca mi sono dimenticato di chiederti una cosa prima” 
“Dimmi tutto”.
“Hai citato la regola numero n°2. Ma la regola numero uno qual è?”
“Sparisci”.
“Anch'io?”
“Sì ache tu, e mentre lo fai portati via tutte le volte che mi hai detto che il tempo curerà le ferite”.


Luca Lama



martedì 19 febbraio 2013

E PROVI CON TUTTE LE FORZE...

E provi con tutte le forze ad essere leone, a ruggire, a mostrare la tua criniera, a simulare morsi tentando di apparire grande, forte e sano.

Tu, che sei antilope.

Tu che se solo comprendessi la bellezza e la forza di essere antilope, ti risparmieresti di apparire come un leone debole e affamato. Correresti sereno e prudente nella tua città, bello come il sole, rapido come un pensiero libero che non si preoccupa dei giudizi esterni, della società che confonde l'arroganza per carisma. Ecco, magari farai un po' di fatica, ma credo che arrivati a questo punto potresti smettere di essere arrogante, e diventare carismatico. 
Sono due cose completamente diverse, opposte.


Luca L.





mercoledì 13 febbraio 2013

IN DISORDINE (rubrica)






S’appanna il domani,
tra banchi e sedie si studia o si contano i lividi.

Chiazze dove manca l’inchiostro.

Si attendono le croste,
massacrate dal sangue.



(dalla rubrica: Poesia portami via).



martedì 5 febbraio 2013

"CHE COSA CI FAI..."


“Che cosa ci fai lì?”
“Ma che cazzo ci facevi lì in mezzo?”
“Cosa c’entravi, tu, lì dentro?”
“Cosa ci stavi a fare in quella situazione?”

Queste sono state le domande che mi sono state rivolte, quando ero io nella tua condizione, quando era successo a me. Quando mi era finita la storia d’amore.
Non l’unica. Certo, una importante, non la storia, la persona era importante.
Che poi – quando tutto finisce - ti ritrovi a suddividere fidanzata e storia, erroneamente, come se fossero parti slegate dallo stesso corpo. Poi non è proprio così. Forse un pochino. Forse no. Mah!
Per cui ci sono storie corte che sono importanti, e storie lunghe meno importanti. Alla fine, cosa importa?! Non c’entra nemmeno quanto è durata, non è questa la direzione.
Comunque, a quel giro, per me erano importanti entrambe, relazione e fidanzata. Che strage. Quindi, una volta conclusa, cara amica mia, puoi immaginare:
l’incredulità, la tristezza, lo sgomento, la rabbia, la vendetta, la calma apparente, il nervosismo, il disagio, il pianto, la depressione, la disfatta, il menefreghismo, l’attivismo, la deriva, la scoperta, la riscoperta (di sé), la caduta, la ricaduta, i primi passi, la prima camminata senza cadere, la prima camminata senza inciampare, il primo sorriso (vero), la prima risata, il primo respiro, il primo senso di equilibrio. E poi un’altra storia e così via. Che poi l’altra storia non significa per forza in rapporto con qualcuno.

Eppure, sempre la stessa domanda mi tornava in mente: “Cosa ci facevi lì in mezzo?”. E continuavo a contorcermi e arrovellarmi cercando a tutti i costi una risposta esaustiva, credibile, concreta (intanto tralascio di scrivere su questo post cento righe su cosa sia concreto o meno; ovvio che non sono in grado di saperlo) almeno per me.
E poi, un giorno, così dal nulla, inaspettatamente, ho compreso che non era una domanda, per cui non c’era nessuna risposta da dare.
Era un’affermazione. “Cosa ci facevi lì in mezzo!” e ci aggiungerei anche un “Cazzo! Merda!”.
Certo che poi bisogna provare con forza a spostare (non cancellare) a lato quel primo incontro, e soprattutto l’ultimo incontro-scontro. Quella cena in quel posticino solo vostro. Quella fermata del tram. Quell’autobus che non passava mai. L’odore di quella macchina. Quel gesto dolcissimo. Quella frase mai detta prima. Quel sentimento mai provato in quel modo. Quel sesso così perfetto. Quel film solo vostro, quella band che conoscete solo voi, quella canzone scritta per voi, quel posto che “Quando ci siamo conosciuti…”, quello sguardo che.
Già, fotte tutto ciò. Fotte proprio perché termina (quando termina), e fotte sapere che non c’è un doppione, un bis, una replica anche con qualche errore di battuta o di scenografia. Nessun lieto fine. No. Non c’è e non ci sarà. Sarà tutto diverso, e bisognerà digerire il boccone. A volte da soli, a volte qualcun altro aiuta a digerirlo più rapidamente. Ma non si può sapere, non lo sai tu, non lo sa la tua amica del cuore, non lo sa il tuo amico di sempre, non lo sa nessuno; nemmeno il collega saccente. Lo sanno solamente i giorni che verranno; ed è a loro che ti devi rivolgere. Perché la terra sotto i piedi a volte manca, (ma manca per davvero, mica solo poeticamente parlando; no no, manca, cazzo se manca realmente!) e tra un burrone e l’altro è difficilissimo trovare la stabilità, quasi impossibile. Probabilmente questo è parte del cambiamento, che quando lo decidono gli altri per te è devastante. Non resta altro che rimanere a galla, qui mica si richiede chissà quale giravolta. A galla, in cerca di calma, quiete, a volta anche un sorriso se non si pretende troppo, insomma, a galla nel bel mezzo del cambiamento. Che paura. Che storia anche! Che sballo a volte!
E cos’è il cambiamento se non quella cosa in cui non trovi le parole per descriverlo.
E dato che non ci sono parole. Chiudo adesso. Qui. Ora.
Un abbraccio.

“Hey tu, davvero, cosa ci facevi lì in mezzo?”