Una volta, una sola volta, donna dolce e amabile,
s'appoggiò il tuo braccio al mio
(e il ricordo in fondo alla mia anima tenebrosa
non è impallidito).
Era tardi; la luna piena si mostrava
come una medaglia nuova,
e la notte solenne, come un fiume,
scorreva su Parigi addormentata.
Lungo le case, là, sotto i portoni,
i gatti passavano furtivi,
orecchio all'erta, o come care ombre
lenti ci accompagnavano.
Ad un tratto, nella libera intimità
sbocciata in quel pallido chiarore,
fuggì una bizzarra nota di lamento
da te, strumento ricco e sonoro
vibrante solo di radiosa gioia,
da te, chiara e gioiosa
come una fanfara nel mattino scintillante:
vacillava come bimba
deforme, orribile, triste ed immonda
che la famiglia con vergogna
a lungo relegò in una cantina
per nasconderla alla gente.
Come stridula la nota, povero angelo, cantava!
"Nulla quaggiù è certo
e l'egoismo umano salta sempre fuori
e per quanto si trucchi!
Mestiere duro quello della bella donna!
È il lavoro banale
della folle e fredda danzatrice che si scioglie
in un sorriso d'automa.
Fatica inutile basarsi sui cuori!
Tutto crolla, l'amore e la bellezza,
finché l'Oblio li getta nella sua gerla
per renderli all'Eterno!"
Spesso ricordo quella luna d'incanto,
quel silenzio, quel languore
e quella confidenza orribile del cuore
bisbigliata in confessione!
tratto da: I fiori del male e tutte le poesie (C. Baudelaire)
(dalla rubrica: Il giusto degli altri)
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