Un muro, già.
Probabilmente, se non avessi innalzato un muro così alto, oggi ti racconterei della mia bicicletta di colore verde.
Probabilmente, se non avessi costruito un muro così spesso, domani ti parlerei della catena della bici.
Non so bene come la vedi tu, cioè, in un certo senso lo so, ne abbiamo già parlato un sacco di volte e ricordo che le frasi terminavano esauste. Poi rimaneva sempre un ultimo concetto da esprimere al meglio, ma tant'è. C'erano strati e strati di "non detto" da decifrare, da decorare prima che potessero ingiallire; proprio come adesso:
ingialliti e ruvidi -come noi.
Se tu non avessi messo un muro così lungo, forse oggi avrei potuto aggirarlo e risultare meno sbiadito e sfocato.
Un muro, un fottutissimo muro, ma ti pare?
Eh sì, è così che la vedo e mentre ti immagino scuotere la testa e prepararti a come non rispondere, mi chiedo se anche tu pensi questo -di me; se anche tu mi disegni con i mattoni in mano.
Chissà se anche tu hai la stessa cartolina.
Chissà come si sta tra due parentesi.
Chissà lo sforzo che ci vuole per dare risalto e colore a qualcosa che si presenta piatto e grigiastro.
Chissà cosa si mostra e cosa si dimostra.
Chissà al mio compleanno.
Un muro alto e spesso, tracciato all'ultima delle ultime frasi dell'ultimo discorso.
Questo è quanto. Un po' come il testamento olografo, ché l'ultimo annulla tutti i precedenti.
Che amarezza, così amara che avrò bisogno di un altro Montenegro.
Tra due parentesi, chissà come ti gira lì dentro.
Luca L.
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