venerdì 11 gennaio 2019

AVEVAMO QUELLE DUE GIOVINEZZE RECLUSE (rubrica)

Avevamo quelle due giovinezze recluse, quella specie di esilio insensato, e l’unica cosa era immaginare tutto quello che non avevamo. 
Storie. 
Io scrivevo per lui. 
Per me. 
Chissà. 
Eravamo lontani da tutto. 
Troppo lontani.
Solo adesso so che è una delle cose più belle che ho fatto. 
Quei mesi con Ultimo. 
A portare in giro pianoforti. 
E le sere a scrivere per lui. 
Ogni tanto riscrivevo le storie che mi aveva raccontato lui. 
Mi piaceva farlo diventare un personaggio da romanzo, un’invenzione. 
Volevo che sapesse che era una persona speciale, di quelle che si leggono nei libri, di quelle che lui leggeva nei fumetti. 
Un eroe. 



Ecco, forse volevo sapesse che lui era un eroe. 
Dirglielo, questo mai.
Io non parlavo mai. 
Anche adesso sono una donna educata, cordiale, ma niente di più. 
Sono ammutolita in qualche istante dimenticato della mia fanciullezza, e poi non c’è stato più niente da fare. 
Scrivere, ho scritto tanto. 
Ma scrivere è una forma sofisticata di silenzio.


tratto da: Questa storia (di Alessandro Baricco)

(dalla rubrica: Il giusto degli altri)

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