Forse le sue parole hanno agito come una sorta di shock.
Il labirinto e quella specie di spugna umida avvolta intorno ai miei pensieri, all'improvviso si sono dissolti.
Ho visto tutto come per la prima volta: c'era una luna quasi piena e il cielo era di un blu brillante, quasi tinto, come quello della carta stellata che fa da sfondo al presepe; era un cielo davvero bello, ma di quella bellezza un po' atroce, malinconica, impossibile da contenere.
Intorno a noi l'aria era tersa, quasi luccicante, come se ci avessero polverizzato un cristallo, e mi entrava nei polmoni con una serie di piccole fitte.
Stavo battendo i denti per il freddo, mi sono affrettato a chiudermi il giubbotto.
Ho messo le mani in tasca e guardato Roberto: aveva il naso rosso e segni orizzontali sulla fronte, anche se non l'aveva corrugata per niente.
Continuava a giocare col sasso, mi aspettavo che da un momento all'altro lo calciasse via.
Tra me e lui, c'era come un alito di una sostanza aerea che non era né luce né vento né temperatura, non odore, non rumore; ma la densità lacerante e quasi fisica di una profonda tristezza.
Ho messo le mani in tasca e guardato Roberto: aveva il naso rosso e segni orizzontali sulla fronte, anche se non l'aveva corrugata per niente.
Continuava a giocare col sasso, mi aspettavo che da un momento all'altro lo calciasse via.
Tra me e lui, c'era come un alito di una sostanza aerea che non era né luce né vento né temperatura, non odore, non rumore; ma la densità lacerante e quasi fisica di una profonda tristezza.
tratto da: Il mondo senza di me (di Marco Mancassola)
(dalla rubrica: Il giusto degli altri)
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