mercoledì 18 aprile 2018

TUTTE LE STORIE SONO STORIE D'AMORE (rubrica)

Tutte le storie sono storie d’amore. 
Venerdì sera. Sei mesi fa (Sarah se n’era andata da sei mesi).
In un pub. 



Stavo facendo la corte a una cameriera di nome Mary: capelli corti, culo a mandolino e due occhioni da bambino infelice. 
La conoscevo da tre ore e avevo già perso la testa per lei.
Chuckie Lurgan si era tolto dai piedi da una mezz'oretta, dopo aver beatamente ignorato almeno venti minuti di cenni impazienti da parte mia e non prima di aver elegantemente dato fondo al contenuto delle sue tasche e all'ultimo goccio di birra. Mary era una delle tante cameriere del pub, ma aveva fatto in modo di farsi notare. 
Inizialmente sembrava non le andassi a genio. 
Forse un altro al mio posto avrebbe sospettato che lo facesse per attirare la mia attenzione, ma io no, io avevo semplicemente pensato che avrebbe preferito vedermi morto e non mi era neanche passato per la testa di chiedermi il perché. Era ostile, scontrosa, e ispida come un porcospino. 
Sono sicuro che avevo capito che così mi avrebbe fatto innamorare. Ne sono proprio sicuro. 
Dopo un po’ si era addolcita, e ogni volta che ci portava un’altra birra faceva una battutina. Alla fine, quando ero rimasto solo, non appena aveva un attimo veniva a sedersi al mio tavolo. 
Era scattato qualcosa. 
Si vedeva da come mi guardava, con lo sguardo un po’ obliquo, pensoso e remoto, e da come piegava la testa quando rifiutava una sigaretta da me e ne accendeva una delle sue. Pensavo di avere fatto colpo e di non potermi più esimere dall'accompagnarla a casa. Del resto, il modo in cui mi guardava lei non doveva essere nulla in confronto a come la stavo guardando io. Mi sembrava di averlo scritto in faccia. 
Una scena classica: eccomi lì, in un pub tradizionale irlandese, a fare il cascamorto. Ma anche se mi piace atteggiarmi a grande amatore, quando è ora di arrivare al dunque non mi vengono le parole e mi vanno a fuoco le orecchie. Così, mentre farfugliavo qualche frase inconsulta, Mary mi chiese se l’accompagnavo a casa.


Eureka street (di Robert McLiam Wilson)

(dalla rubrica: Il giusto degli altri)

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