martedì 15 novembre 2016

ARRIVARE A TORINO, DI SERA (rubrica)

Arrivare a Torino, di sera, mi dà un piccolo shock da ricordi senili: è stata una delle mie prime piazze fuori casa.
Scendevo dal treno, un qualche caporale mi intruppava insieme con gli altri disperati, poi passavo le ore a soffiarmi sulle mani per scaldarmele, sul perimetro di un palasport o di un teatro tenda.
Dovevo acchiappare quelli senza biglietto che scavalcavano, ma facevo solo finta.

Agenzia Shadow: paga bassa, grande futuro.
Con tutto il tempo che è passato, neanche oggi riesco a capire se la città mi piaccia.
Ha un'aria troppo anni Ottanta, con i locali in vero legno, la nostalgia diffusa per la fabbrica, i gruppi di biker e di punk, i tossici che smazzano e si bucano per strada.
Però possiede anche un gradevole effetto miraggio.



Cammini per una via stile Alphaville, volti un angolo e ti trovi in una piazza enorme e luminosa, o in mezzo a una popolazione mélangé che entra ed esce da negozietti etnici: sembra Parigi, mancano giusto i bateaux mouches.
Vista l'ora tarda e la valigia senza rotelline, non me la sento di cominciare a seguire le evanescenti tracce di Adrian.

Mi piazzo a un tavolino sotto una galleria del centro, bevo e l'umore mi peggiora un po' alla volta.Ho accettato di fare un lavoro che non mi piace, per pagare un'inchiesta inutile che mi darà un sacco di rogne. In parole povere, mi sono fatto fregare, e neanche me ne sono accorto.


tratto da: La cura del gorilla (Sandrone Dazieri)

(dalla rubrica: Il giusto degli altri)

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