venerdì 15 aprile 2016

QUANDO VADO A TEATRO (rubrica)


Quando vado a teatro sono molto teso. 
Si spengono le luci, si fa silenzio e lo spettacolo sta per cominciare. 
Ci sono quei pochi secondi di attesa prima che si sentano le prima parole, e appena le prime parole vengono pronunciate, la prima frase fa già capire tutto; non è solo la frase, ma il tono, l'impostazione della voce. 
L'uso del diaframma.
A teatro, dopo la prima frase, hai già capito tutto. 
Spesso capisci che il tempo in quel preciso momento, in coincidenza con la prima frase, si ferma, e non passerà mai più. 
Sei in trappola, non puoi uscire, non puoi fare niente; sei piantato nella poltroncina e questo spettacolo che sta lì davanti a te durerà ore, giorni, settimane. 
Anni. 
Non finirà mai più.
Lì fuori ci sono tutte le persone che ami, tutte le cose che vuoi fare, ma devi considerarle perdute per sempre. 
La vita continuerà, senza di te. 
Perché tu, per il resto della vita, starai qui dentro a guardare questo spettacolo.
Eppure dopo tantissimo tempo, quando ormai non ci credi più, quando sei diventato vecchio, intontito, smemorato, all'improvviso, anche questo spettacolo che non finisce più, finisce.
E quello è un bel momento così liberatorio che è un momento bellissimo. 
Scatti in piedi e sei così contento che continui ad applaudire e a chiamare fuori gli attori, perché sei così contento che sia finito che vuoi goderti il più a lungo possibile questo momento, il momento in cui sei assolutamente sicuro che è finito.






tratto da: Momenti di trascurabile felicità (Francesco Piccolo)

(dalla rubrica: Il giusto degli altri)

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